Le agevolazioni consistono:
nel diritto per la lavoratrice madre o per il lavoratore padre del minore affetto da Hiv, al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, o, in alternativa, a due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del 3° anno di vita del bambino;
nel diritto per la lavoratrice madre o per il lavoratore padre, anche adottivi, di minore Hiv+ successivamente al compimento del 3° anno di vita del bambino, nonché per colui che assiste una persona affetta da Hiv –parente o affine entro il 3° grado, convivente- a tre giorni di permesso mensile retribuito, fruibili anche in maniera continuativa, purché l’assistito non sia ricoverato a tempo pieno;
nel diritto, per le figure sopra menzionate, di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, e di non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso.
Occorre ricordare che le suddette concessioni saranno accordate soltanto laddove la minorazione psico–fisica riduca l’autonomia personale e renda necessario un intervento assistenziale permanente e continuativo (cosiddetta “situazione di gravità”).
ULTERIORI AGEVOLAZIONI
Tali agevolazioni consistono:
nel diritto ad usufruire di due ore di permesso giornaliero retribuito;
nel diritto a tre giorni di permesso mensile retribuito, godibili anche in maniera continuativa;
nel diritto, ove possibile, a scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e a non essere trasferito in altra sede senza il suo consenso. Anche per la concessione di tali agevolazioni è richiesta la sussistenza della situazione di gravità .
Questa verrà riconosciuta a seguito di una visita effettuata da una apposita Commissione medico – legale pubblica. Il datore, in caso di riconoscimento della condizione di handicap, non potrà sapere quale patologia ha originato tale riconoscimento, ma verrà solamente informato del giudizio positivo della Commissione pubblica.
Si è già detto che in ambito lavorativo l’irrilevanza pratica di conoscere lo stato sierologico di un collega o di un utente è dovuta, tra l’altro, all’obbligo previsto per legge in capo al datore di mettere i propri dipendenti in grado di lavorare al riparo da ogni rischio connesso all’attività lavorativa.
L’art. 7 della legge 135/90 ha obbligato il Ministero della Sanità ad emanare un decreto ministeriale (D.M. del 28.9.1990) che prevede nei confronti di tutti gli operatori sanitari l’obbligo di adottare, sempre e verso chiunque, misure di protezione dal contagio professionale (ad esempio guanti, mascherine, ecc.).
Il datore è obbligato a fornire il personale di tali attrezzature, in caso di sua negligenza è passibile di denuncia. Tale adozione di mezzi idonei ad evitare ogni contagio rendono superfluo anche conoscere lo stato sierologico dei pazienti.
Ad esempio, se un chirurgo avrà i mezzi previsti per evitare di entrare direttamente in contatto con il sangue del paziente (guanti monouso anti-taglio), non avrà motivo di temere contagi e, dunque, neanche la necessità di conoscere lo stato sierologico della persona che opera.
L’obbligo di adottare sempre le misure di prevenzione fa conseguire la mancanza di un legittimo interesse a conoscere lo stato sierologico del paziente, in quanto, date le caratteristiche di trasmissione del virus, adottando misure minime di prevenzione non vi è in ambito lavorativo uno specifico rischio di contrarre il virus Hiv.
Non esistono, dunque, soggetti a rischio ma comportamenti specifici a rischio, che qualunque lavoratore deve evitare.
I rischi devono essere valutati in relazioni al tipo di lavoro e di ambiente in cui operano i dipendenti, e per ogni rischio –ipoteticamente ma verosimilmente individuato– devono essere previste misure idonee ad evitare un suo reale accadimento e tali mezzi vanno poi forniti al personale. L’introduzione recente di elementi di flessibilità nel mercato del lavoro ha comportato lo stravolgimento dell’ordinamento lavorativo e di quelle regole a garanzia dei lavoratori introdotte con lo Statuto del ’70. Ciò ha comportato l’introduzione di nuove modalità di collocamento e attenuato gli obblighi previsti per il datore.
In tale ottica, ad esempio, sono state aumentate le ipotesi in cui diventa possibile assumere direttamente personale per chiamata nominativa (cioè direttamente senza seguire le graduatorie degli uffici di collocamento) o assumere un lavoratore con contratti a termine o “stagionali”.
In particolare nel 1997 è stata introdotta la possibilità di creare imprese che forniscono, a chi ne faccia richiesta, prestatori di lavoro temporaneo (cosiddetto lavoro interinale) e approvato un Decreto che ha sancito la facoltà di creare agenzie private di collocamento (cosiddetto decentramento del collocamento).
Tuttavia questa nuova regolamentazione del mercato del lavoro non comporta una attenuazione del diritto alla privacy dei dipendenti e/o dei candidati, in quanto le tutele approntate in favore dei lavoratori Hiv positivi valgono in ogni ambito lavorativo, a prescindere dal tipo di contratto e dalle modalità con le quali sono assunti.
Con il decreto legge n. 469/1997, si è prevista la possibilità per imprese e cooperative di svolgere attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro.
Per svolgere tale attività sarà necessaria una autorizzazione del Ministero del Lavoro, dietro parere della Regione dove l’impresa dovrebbe svolgere tale attività.
In tal caso la diffusione delle informazioni da loro rilasciate devono essere in armonia con gli obblighi previsti dalla legge 675/96 (Tutela dei dati personali). Per il lavoratore, l’attività di mediazione deve essere gratuita. E’ vietata, nello svolgimento della attività di mediazione lavorativa, ogni pratica discriminatoria basata sul sesso, sulle condizioni familiari, sulla razza, sulla cittadinanza, su opinioni politiche, sindacali o religiose.
Il decreto legge prevede, inoltre, la creazione di un Sistema Informativo del Lavoro (SIL) ove si scambieranno informazioni tra offerte e domande di lavoro, con una rete unitaria tra il Ministero del Lavoro, le Regioni, gli Enti locali e i soggetti privati autorizzati ad esercitare attività di mediazione.
Attualmente sono in discussione tra le parti sociali le norme per una effettiva attuazione di
tale decreto.
Alla luce di tale disciplina, anche per le agenzie di collocamento private sarà operativo il divieto di richiedere informazioni non strettamente attinenti all’attività lavorativa (ad esempio rimane vietata ogni richiesta circa l’esistenza di uno stato di sieropositività).
In ogni caso le informazioni richieste dovranno essere trattate secondo quanto esposto nel paragrafo riguardante la disciplina dei dati personali.
La legge 196/1997 ha sancito la nascita del cosiddetto “contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”, mediante il quale l’impresa fornitrice di lavoro temporaneo pone alcuni lavoratori da essa assunti a servizio di altre imprese che ne facciano richiesta, al fine di soddisfare esigenze di carattere temporaneo.
Il prestatore dipendente dell’agenzia ha diritto ad essere, eventualmente, assunto in pianta stabile dalla impresa utilizzatrice. Il lavoratore temporaneo, per la durata della prestazione presso l’impresa utilizzatrice, svolge la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’impresa medesima. Nei periodi di tempo in cui non presta alcuna attività, egli si porrà a
disposizione dell’agenzia di lavoro interinale.
Il prestatore di lavoro temporaneo, ha diritto agli stessi trattamenti economici, assistenziali e sociali dei lavoratori di pari livello dipendenti della impresa utilizzatrice.
Nel caso in cui le mansioni, a cui è adibito il prestatore di lavoro temporaneo, richiedono una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, quest’ultimo deve esserne informato ai sensi del D.L. 626/94.
Anche per un prestatore di lavoro temporaneo valgono gli stessi diritti di ogni altro lavoratore (connesso il divieto di richiedere informazioni non strettamente connesse all’attività lavorativa).